La Fight Gym Grosseto vista da Franco Esposito
grande penna del pugilato e dello sport Italiano
L’idea è di fare il lifting al sito. Una botta di trucco sulla faccia per dotarla di gocce di freschezza. Amedeo Raffi non la mette lì per caso, il suo disegno è preciso. E non si fa scrupoli, me lo sbatte in faccia al telefono. Una richiesta secca, cortese, gentile: un tuo pezzetto mi sembra la soluzione migliore: un tocco di rimmel e la nostra Fight Gym apparirà più bella e intrigante ai visitatori del sito. Un attimo di silenzio, poi il punto di domanda: posso contare sulla tua disponibilità?
Non faccio fatica ad immaginare la sua faccia, con il telefonino appiccicato a quel suo grande orecchio. La bocca come la fessura di un voluminoso salvadanaio e il sorriso largo. Metto un minimo di ordine nei miei pensieri: è possibile dire no ad Amedeo Raffi, anima, cuore, dinamo, motore, papà e zio della Fight Gym Grosseto?
Impossibile. E via con il pezzetto, senza sapere dove andrò a parare, dove e come mi ritroverò alla fine. Intanto, una domanda, questa sì necessaria, doverosa: ma quanti ragazzi che tirano di boxe frequentano ogni giorno la tua palestra? Risposta: non meno di quindici, la media quotidiana è di venti, dalle tre del pomeriggio alle nove di sera? Registro il dato e mi sembra di vederli rosso fuoco le grandi orecchie e il naso di Amedeo Raffi. Pinocchio o che cosa? Faccio una riflessione alla buona, ma che gran bugiardo è questo assurdo inguaribile incorruttibile innamorato del pugilato. Un simpatico menzognero. Non vedo l’ora di andare in palestra a controllare di persona.
Quindici o venti, il numero mi dà l’idea di un’inesistente enormità. Una palestra affollata in questi giorni nostri di crisi totale, segnati dal progressivo collasso della boxe in Italia? Suvvia, Amedeo poteva inventarsene un’altra appena digeribile, questa proprio no, non vale. Bugiardone, sei un contaballe, Amedeo.
E in compagnia di questo pensiero spingo la porta d’ingresso della palestra, in viale della Repubblica, sotto la tribuna dello stadio Jannella, il tempio del base-ball grossetano. Una bella sala, linda e bene accessoriata, gli attrezzi, e il ring sistemato lungo il lato corto del locale.
Appena dentro, l’unica voce percepibile è quella di Raffaele D’Amico, il maestro, l’autorità sul posto, il depositario del sapere pugilistico, l’istruttore appassionato e onnipresente. Stakanov gli farebbe un baffo. All’ingresso vengo investito dal rumore dei pugni, quel tonfo sordo dei cazzotti sui sacchi, e dagli odori tipici di una palestra di boxe. Il puzzo di sudore, i sapori chiari di ragazzi pieni di sogni, e quell’atmosfera piena di cose, che io avevo dimenticato. Le frequentazione di una sala di boxe mi mancava da anni.
Ero rimasto ai santuari napoletani, la Fulgor di Geppino Silvestri, l’Olimpia di Camerlingo, l’Indomita con Gigi Proietti, la Pugilistica Grossetana di Azeglio Battigalli e Giacomo Rodorigo, all’indimenticabile Pipero Panaccione, alla Tranvieri Bologna dei Bellini, alla Mameli Genova di Speranza, all’Abc Cremona di Colombo, alla Rodio Brindisi di Calabrese e Dell’Atti, a Umberto Branchini, Rodolfo Sabbatini, Rocco Agostino.
Il viaggetto di controllo alla Fight Gym è una piacevole riscoperta. Il pugilato dà segni di nuova vita a Grosseto, la città a lungo capitale della boxe in Italia, fino agli anni ‘80. Fabbroni, Bertini, Cortonesi, Marconi, Baccheschi, Banda, Polidori, Zanaboni, Duranti, Scapecchi, e via andare. La Cavellerizza, l’Arena Fabbri, la Sala Eden.
Li conto uno ad uno ragazzi e giovani che fanno sparring condizionato (si chiama così, ora, e penso che andrebbe meglio il ritorno all’antico), prendono a pugni il sacco, si piegano e si contorcono negli esercizi di ginnastica pugilistica.
Qualcuno usa i bilancieri, piccoli pesi, roba leggera.
Li riconto, quelli che vanno via perché hanno terminato l’allenamento, quelli che hanno appena cominciato e gli altri che guadagnano lo spogliatoio dove indossano i panni del pugile.
Bene, in tutto sono più di venti, agonisti e amatori, molti più i primi dei secondi.
Raffi non ha raccontato bugie, la palestra è piena di boxeur di tutte le età e di aspiranti pugili. E questo mi costringe ad ammettere che la Fight Gym è l’espressione di un miracolo sportivo. Ma non c’era stata la grande fuga dalle palestre italiane, non è considerato tuttora il pugilato un sport anacronistico?
La Fight Gym ha dodici anni di vita, è nata nel 2003. Auspici Pio D’Amico, il papà di Raffaele, il suo figliolo, e Amedeo Raffi, geometra del comune aggredito dal virus della boxe in giovane età. D’Amico jr. in plancia, alla cloche, il pilota proveniente da un’altra disciplina sportiva da combattimento, poi catturato senza scampo dal pugilato. Lui, ora, è il boss della palestra nel senso buono dell’espressione. Dirige, non urla, mai un’espressione sconveniente, un tono sopra.
Sotto il maestro D’Amico, Emanuela Pantani è diventata campione del mondo.
Sacrosanta la differenza con il pugilato degli uomini, però nella storia del pugilato grossetano nessuno dei tanti campioni era mai riuscito a conquistare il titolo mondiale.
Un eccellente professionista Giovanni Niro, anche lui titolato.
Raffi se ne sta nel suo ufficietto, in mezzo alle scartoffie, alle schede, al computer; gli attrezzi e, a un metro, l’enorme specchio a cui i praticanti pugili affidano il perfezionamento dei gesti, compagni di speranze e sogni. Esauriti gli aspetti burocratici e amministrativi, il presidente e animatore si piazza al centro della palestra. E osserva, commenta con un filo di voce, conquistato dai progressi dei giovani pugili, attento anche a recepirne i problemi. D’Amico si spende in mezzo al gruppo, una parola, un consiglio, un invito, un ordine. “Tieni su la guardia, stringi il compasso delle gambe, gira bene i colpi, colpisci con le nocche della mano, prova a schivarli o a pararli con i guantoni, i colpi”. Ne seguono le direttive i suoi aiutanti e fanno da megafoni, i maestri Giulio Bovicelli e ancora lei, Emanuela Pantani. La grande ex con il bernoccolo dell’insegnamento.
Ma quel ragazzo moro non è un grossetano e neppure italiano è? Infatti, è un cubano, Garcia Ponzo. E l’altro, biondiccio, parla usando i verbi italiani solo all’infinito e non ci mette gli articoli determinativi e indeterminativi? È un moldavo. La Fight Gym è multietnica, un miscuglio di lingue e di espressioni: ucraini, turchi, albanesi. Paul Cocolos, rumeno, è la migliore espressione di questo vivaio multietnico, una babele di dialetti. Picchia duro, è un feroce aggressore, fa spettacolo. Le donne pugili, poi: la Fight Gym dedica loro un’attenzione particolare, non sono poche le ragazze, straniere in particolare, che battono i ring sotto la bandiera della società. E tutti, donne e uomini, sono impegnati periodicamente e con notevole successo all’estero. Moldavia, Romania, e altrove, in incontri a squadre che prevedono il ritorno a Grosseto o in qualche località della Maremma.
Ma gli italiani, ci sono anche ragazzi italiani che tirano di boxe alla Fight Gym? Ci sono, come no, presenti in buon numero anche nella filiale di Livorno. Il superwelter Giorgetti l’uomo di punta, campione toscano 2014, un talento maturo e sicuro, e con lui Cocolos: la Fight Gym prima nella classifica di società, seminata l’agguerrita concorrenza costretta a leggere la targa ai nostri pugili grossetani. Giorgetti e i fratelli Cimmino non sono soli, come italiani.
La squadra c’è, italiani e stranieri a formare una bella formazione di pugili che sanno muovere le mani. Quando posso, vado a vederli. E finora non mi sono mai pentito. In Italia, Fight Gym è diventato un marchio, una griffe. Il lifting della prima pagina è servito.
Franco Esposito
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